Storia e Carisma  
   
 
La “culla “ della Monche Passioniste è proprio qui a Tarquinia, famosa cittadina etrusca, dove per secoli si sono intrecciati: arte, cultura, culto agli dei e ai defunti (celebri infatti le sue tombe etrusche dipinte), e tanta fede cristiana.
In questo luogo pertanto ha inizio la meravigliosa avventura umana e spirituale di alcune giovani, preparate e dirette dallo stesso Paolo della Croce, già fondatore dei passionisti, grande mistico del settecento e soprattutto immensamente innamorato del Crocifisso. Così egli si esprimeva nelle sue lettere: “la passione di Gesù e la più stupenda opera del Divino Amore”. Ed ancora “La meditazione della passione di Gesù è il mezzo più efficace per sterminare i vizi e praticare le virtù. (Lett. II 213; 221)

Il 3 Maggio 1771 il piccolo gruppo delle postulanti guidati dalla venerabile Madre M. Crocifissa Costantini, prima superiora e confondatrice già monaca benedettina da 38 anni, dopo lungo travaglio entravano con grande solennità in questo proto-monastero, per vivere ciò che il fondatore per ispirazione divina chiedeva loro.
“Fare un monastero di anime grandi e sante, morte o tutto il creato e che s’assomiglino nelle sante virtù, penitenza e mortificazione a Gesù appassionato ed a Maria SS.ma Addolorata” (Reg. e Cost. Cap. I).
Rivestite poi del santo abito nero, segno di lutto per la morte del nostro Redentore, ma più ancora esso è segno di quel desiderio di voler fare continua memoria di Colui che amò i suoi fino alla fine. Ma ascoltiamo dalle parole dello stesso San Paolo della Croce il significato del abito passionista: “sappiate, carissimi/e che il principale fine di andare vestiti di nero, secondo la particolare ispirazione che Dio mi ha data, è di essere vestiti a lutto in memoria della Passione e Morte di Gesù e affinché non ci scordiamo di averne con noi un continuo e doloroso ricordo” (Lett. vol. IV. pp 217-221).
Inoltre, così continua il racconto dello steso fondatore “mi vidi in spirito vestito di nero fino a terra, con una croce bianca in petto e sotto la croce avevo scritto il nome santissimo di Gesù” (Lett. vol. IV. pp 217-221).
Portare sul petto tale emblema ha per noi passionisti e passioniste il significato di voler conservarsi puri da questo mondo, ma più ancora di voler portare scolpito nel cuore, notte e giorno l’amore di Gesù Crocifisso.
Ora le piccole colombe del Crocifisso, così ci chiamava il fondatore a motivo di una lontana e profetica visione della venerabile Lucia Burlini sua amata e santa figlia spirituale, potevano iniziare a “volare misticamente” per lenire con la loro vita di orazione, di nascondimento, solitudine e penitenza, le piaghe del Crocifisso, ma anche di tanti crocifissi di ieri e di oggi.

Siamo nella Chiesa coloro che attraverso il silenzio monastico, la preghiera quasi continua, il nascondimento, vogliono tenere lo sguardo su Gesù, e su Gesù Crocifisso, “autore e perfezionatore della nostra fede”, per essere nella Chiesa e per la Chiesa quella linfa nascosta che alimenta e rende viva tutta la pianta, cioè il corpo mistico di Cristo.

La clausura non vuole essere “chiusura” ma piuttosto lo scrigno in cui poter custodire un dono così prezioso e sublime. Essa, è spazio sull’infinito, poiché chi vive nel cuore di Cristo non ha confine.
 
     
   
 
«Vorrei incenerirmi d’amore... Non Sarebbe meglio che come una farfalletta mi slanciassi tutto nelle amorose fiamme, ed ivi in silenzio d’amore restassi incenerito, sparito, perso in quel divin tutto?»
 
 
San Paolo della Croce
 
     
   
     
  MADONNA DELLA PRESENTAZIONE  
     
   
 
Affresco su formella di macco (pietra calcarea di sedimentazione marina) XV sec. ca. che si venera nella chiesa della Presentazione di Maria SS.ma al Tempio nel Monastero delle Passioniste di Tarquinia.
 
   
 
Il luogo deputato alla costruzione del monastero delle Passioniste di Tarquinia, tra l’attuale via Garibaldi e via Lunga, era occupato da vecchie case, alcune delle quali appartenenti ai Costantini (facoltosa famiglia della città di Corneto – attuale Tarquinia – di cui faceva parte la confondatrice Madre Maria Crocifissa di Gesù); per innalzare il nuovo fabbricato occorreva demolire le costruzioni preesistenti, acquistando tutte le restanti proprietà. Il canonico Nicola Costantini narra un racconto che, divenuto ormai celeberrimo, è parte inscindibile dall’epopea cornetana.
Una delle abitazioni situate nella zona dell’erigendo monastero, apparteneva ad un’anziana signora di nome Pacifica: vedova e sola, non intendeva vendere la propria casa ai Costantini, e ciò avrebbe impedito la costruzione del complesso. Un giorno, inaspettatamente, la donna risolve di accettare l’offerta, intimorita da un evento soprannaturale: da una parete della propria casa provenivano violenti colpi e si udivano delle voci misteriose che pronunciavano il suo nome. Domenico Costantini, acquisita la proprietà, incarica gli operai di cominciare l’opera di demolizione della struttura ma, giunti al muro indicato dalla signora Pacifica, scorge una nicchia, che restava occulta alla pubblica vista per esservi stata tirata avanti una muraglia di mattoni in costa, per pareggiare ed uguagliare la parete della stanza. A terra, alcuni sassi presentavano la colorazione tipica del manto della Vergine, con grandi stelle su fondo celeste, ma l’immagine della Madonna risultava dispersa. Le persistenti ricerche di quel giorno, continuate il giorno seguente, non approdano al ritrovamento sperato e il maggiore dei Costantini ordina di raccogliere in un angolo della stanza i sassi demoliti. Solo a tarda sera, sotto l’ammasso di calcinacci, si svela, con estremo stupore degli astanti, l’immagine di Maria dipinta su pietra, trasportata nel palazzo Costantini, si conserva oggi sull’altare della chiesa annessa al monastero, intitolata alla Presentazione di Maria Santissima al Tempio.
 
     
   
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